Il Piccolo Diavolo

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Luca e Sabrina sono una giovanissima coppia. Lei è una bella ragazza, esile, mora e di carnagione scura, con gli occhi chiari, i gesti scattanti e la parlantina accesa. Luca è il suo complementare: silenzioso, pacato, “tutto d’un pezzo”, un uomo di quelli completamente dediti alla famiglia e al lavoro. Luca e Sabrina hanno già due bambini nonostante la loro giovane età: Emanuele di 7 anni e Marco, il “piccolo diavolo” come lo chiamano loro, di 3 anni. Il più grande fa la prima elementare, il piccolo va all’asilo.

Il marito lavora in proprio, così Sabrina passa quasi tutto il giorno a casa da sola, e a casa Marco, il piccolo, è una furia. Se la mamma gli chiede una qualsiasi cosa con un pizzico di autorità la sua risposta è sempre un secco «No» a cui seguono urla e schiamazzi. La mattina scappa dappertutto, e riuscire a portarlo all’asilo è un’impresa. Al supermercato le corse si fanno ancora più appassionanti su e giù per i corridoi pieni di oggetti da urtare. A tavola vuole essere lui a decidere qual è il posto che ciascuno deve prendere, e se non viene rispettata la sua volontà sono urla e calci. Quando rientrano a casa con la macchina lui si rifiuta di scendere dall’auto, costringendo Sabrina a trascinarlo in casa tra gli sguardi sbigottiti dei vicini. Se c’è qualche dispetto che può fare alla mamma, Marco lo fa.

Se Marco è una peste, Emanuele è invece fin troppo passivo. Sabrina teme che il grande patisca l’eccesso di attenzioni che entrambi i genitori dedicano al piccolo – questa è l’interpretazione che i due genitori fanno – ecco perché Emanuele è diventato nel corso degli anni sempre più serio e chiuso in se stesso. Il grande parla poco con la mamma e ancor meno con il papà. La sua attività preferita è giocare silenziosamente in camera sua, da solo.

Questo è il quadro che si dipinge dalla descrizione fatta dai genitori. Messa in questi termini la situazione sembra senza vie di uscita. Così, come ogni buon intervento strategico richiede, vengono poste le prime domande ai genitori mettendo tra parentesi le loro interpretazioni; le domande si focalizzano invece sull’effettiva interazione che si è instaurata tra i vari membri della famiglia. In particolare: cosa stanno facendo entrambi i genitori per rendere Marco più ubbidiente ed Emanuele meno serio?

Di fronte a una domanda chiara le risposte di Luca e Sabrina sono altrettanto chiare. Con il piccolo parlano molto, gli chiedono spiegazioni del suo comportamento e cercano di spiegargli perché comportarsi in quel modo è sbagliato e negativo. Luca e Sabrina parlano molto a Marco dei comportamenti inappropriati. Gli fanno tante domande. Danno tante spiegazioni. Chiedono tanti «Perché?». Ai due genitori sfugge insomma un aspetto essenziale dell’educazione che Jean-Jacques Rousseau ha così sintetizzato nel suo Emilio: «Siate ragionevoli e non ragionate coi bambini, soprattutto per far loro approvare ciò che a loro dispiace, poiché introdurre sempre così la ragione nelle cose spiacevoli non è che rendergliele noiose e screditarle per tempo in una mente che non è ancora in grado di comprenderle». D’altronde, se i bambini capissero la ragione non avrebbero bisogno di essere educati.

L’eccesso di domande sui «Perché?» non è però l’unica strategia fallimentare con Marco. Una volta che le “prediche” non sortiscono effetto, Luca e Sabrina iniziano a fare richieste dirette in modo via via sempre più autoritario, sperando che così Marco interrompa il suo comportamento da “piccolo diavolo”. Il risultato? L’aumento dell’irascibilità di Marco. Si instaura infatti una vera e propria battaglia per il potere in cui alla fine Marco è spesso il vincitore. Sempre con le parole di Rousseau «non c’è niente di peggio per un bambino che lasciarlo ondeggiare tra la sua volontà e la vostra e gareggiare continuamente tra voi e lui a chi sarà il padrone». La strategia da mettere in atto con Marco sarà proprio quella di riuscire a creare una sinergia, in luogo di un continuo scontro, in modo tale che la volontà sua e dei suoi genitori coincida anziché essere in conflitto.

Le due modalità fallimentari di (1) chiedere tante spiegazioni e di (2) fare richieste dirette di interruzione di comportamenti “sbagliati” sono messe in atto anche con Emanuele. Infatti, contrariamente a quanto sembrava nella spiegazione iniziale, i due genitori stimolano molto Emanuele: gli fanno tante domande, cercano di stuzzicarlo, di ricoprirlo di baci, di attivare in lui una qualsiasi reazione, ma la sua risposta è sempre e comunque la chiusura. «Quindi, se ho ben capito, Emanuele è come un riccio chiuso in se stesso: ogni volta che qualcuno va là a toccarlo è certo che aumenterà la sua diffidenza e il tempo che impiegherà per aprirsi nuovamente». I due genitori annuiscono. «D’altronde Marco è come una… bertuccia: dispettoso. Nel momento in cui gli chiedete direttamente una cosa che per voi è importante, è certo che lui farà esattamente il contrario». Sabrina esclama «È proprio così!».

«Adesso quello che è certo è che se voi continuerete a mettere in atto quello che avete sempre fatto, continuerete ad ottenere quello che avete sempre ottenuto… ovvero è necessario introdurre qualcosa di nuovo, e questo “qualcosa” potrebbe addirittura sembrare bizzarro. Non ho la bacchetta magica, e quindi non vi prometto di trovare la strada giusta fin da subito, ma quello che posso garantirvi è che se sarete precisi nel mettere in atto alcuni suggerimenti che vi darò, e mi riferirete quello che è successo in casa, potremo poi modificare e adattare le strategie fino a trovare la chiave della soluzione al vostro problema». Luca e soprattutto Sabrina non aspettavano altro: indicazioni pratiche che li aiutassero ad uscire da questa situazione di impasse familiare.

«Verso Emanuele e verso Marco dobbiamo mettere in atto due cose differenti». Sabrina poggia i gomiti sulle gambe per farsi ancora più vicina e ascoltare meglio le mie parole. «Con Emanuele vi chiedo di mettere in atto quello che definiamo “osservare senza intervenire”. Ovvero con lui dovrete comportarvi come se foste un mio collega antropologo che sta osservando un membro della tribù degli Zulu. Lo osservate senza interagire con lui. Che cosa fa se voi fate attivamente niente? Inizia a parlare? Si chiude ancora di più in se stesso? Non lo sappiamo, anche perché non è stato mai provato. Per quindici giorni osservatelo senza intervenire, senza stimolarlo». «Neanche chiedergli com’è andata a scuola? », chiede Sabrina. «Neppure quello», insisto. «E se poi diventa triste e si sente trascurato?» chiede Luca. «Lo vedremo. Osservare senza intervenire per quindici giorni. È un esperimento che facciamo e che, se non funzionasse, modificheremo». Luca e Sabrina sembrano convinti. «Con Marco invece dovremo fare una cosa diversa. La mattina prima di prepararvi per andare all’asilo prendete Marco e gli dite: “Abbiamo capito che per te lamentarti dell’asilo è fondamentale, adesso hai mezz’ora di tempo per lamentarti”. Prendete un orologino e aggiungete: “Ecco qua l’orologio delle lamentele, quando la lancetta arriverà là, allora potrai smettere di lamentarti. Adesso inizia a lamentati al nostro via!”. Cioè chiedete a Marco di lamentarsi a comando. Poi in tutta fretta fate rapidissimi i preparativi per andare all’asilo».  «Ok, ma a volte quando siamo per strada verso l’asilo si mette a sputare per terra e la cosa mi dà alla testa», chiede ancora Sabrina. «Bene, gli dite: “È molto importante per te sputare. Ti serve. Sputa adesso, poi a metà percorso, e poi di nuovo poco prima di entrare all’asilo”. Ok?». Luca e Sabrina se ne tornano a casa con un’espressione tra lo stupito e l’entusiasta.

Quando tornano alla seduta successiva Sabrina racconta con un gran sorriso che le indicazioni date avevano avuto l’effetto desiderato: Emanuele era diventato stranamente più attivo e coinvolgeva di più sia lei che il papà nelle questioni scolastiche; Marco non aveva fatto più nessuna sfuriata, anche se in realtà all’asilo arrivavano ancora in ritardo. Mi complimento con loro per essere stati davvero bravi nel mettere in atto delle indicazioni così particolari, e confermo loro che è necessario proseguire in quella direzione perché, per dare la possibilità ad una nuova strategia efficace di espletare completamente i sui effetti benefici, è necessario darle un tempo maggiore.

Con Luca e Sabrina abbiamo avuto in tutto quattro colloqui nel periodo di tre mesi. Nell’ultimo colloquio Sabrina si presenta da sola e mi racconta entusiasta che le cose in casa vanno «davvero molto molto molto meglio, dottore». Il più duro da gestire dei due figli non è più Marco, ma Emanuele, e la cosa difficile, dice Sabrina, è dover aspettare i suoi tempi. «Io me lo vorrei divorare di baci e invece devo aspettare che sia lui a venire da me a farsi coccolare, e questo per me è la cosa più faticosa, ma finalmente è più allegro in casa». Marco invece sembra un altro bambino: sono sempre arrivati puntuali all’asilo, è diventato molto più ubbidiente e la mattina, addirittura, si prepara la colazione tutto da solo.


Bernardo Paoli
, psicologo e consulente familiare ad approccio strategico.

Lavora da anni a fianco del Prof. Giorgio Nardone; è coautore di “Aiutare i genitori ad aiutare i figli” (Ponte alle Grazie, 2012), autore e redattore del “Dizionario internazionale di Psicoterapia”(Garzanti, 2011).